In questi giorni tutti noi, chi più, chi meno, viviamo uno sconvolgimento della nostra routine quotidiana.
Alcuni, paradossalmente sono stati catapultati in una ‘sovraesposizione’ forzata ai familiari: bimbi a casa da scuola, mogli, mariti a barcamenarsi con lo smart working e in più con la restrizione delle uscite.
Al contrario, chi come me vive solo e lavora spesso e volentieri da casa, può vivere questo momento sentendosi isolato dal mondo, senza poter vedere gli amici per una chiacchierata davanti a un bicchiere, senza avere contatti umani, nemmeno le strette di mano dei clienti e gli abbracci e le parole degli allievi.
Per questo, sia come persona, sia come coach, sto riflettendo su un differente approccio a questa situazione. Ovvero, prendo atto di questa situazione, che non posso cambiare – è una realtà di fatto – e sto pensando a come viverla in modo che sia una ‘solitudine’, ricca di esperienza e di ‘contatto’ con se stessi e con gli altri, e non un ‘isolamento’ spettrale e sterile.
Mi spiego meglio: con ‘solitudine’ non intendo la situazione in cui ci si trovi fisicamente soli. Ci si può sentire isolati anche in mezzo alla folla o in famiglia e spesso al lavoro, ad esempio se non si è in linea con ciò che si fa e con le idee dei colleghi.
Vedo la ‘solitudine’ come un atteggiamento in cui siamo in contatto con noi, con i nostri bisogni, le nostre emozioni e così i nostri pensieri possono svilupparsi e ordinarsi e dare vita a qualcosa di nuovo.
La immagino come la situazione, proficua e creativa, generativa, dello scrittore che cambia casa per dedicarsi alla stesura di un nuovo romanzo e nel frattempo si arricchisce di immagini, paesaggi, musica, letture, cibo. E tutto questo genera l’ispirazione per scrivere, il romanzo prende vita e contiene tutta questa esperienza!
Ecco che la ‘solitudine’ intesa in questo senso è un plus, è una ricchezza, è quel brodo primordiale, che ribolle di energie, da cui si crea la vita.
Parlo invece di ‘isolamento’ quando la persona si sente abbandonata a sé, prova emozioni e preoccupazioni che pensa nessuno possa comprendere. Non è detto che la persona che si senta ‘isolata’ sia fisicamente sola, anzi.
Nell’isolamento non vediamo possibilità perchè siamo concentrati su quello che manca, su quello che non c’è. Nell’isolamento, ci si abbatte, ci si sente in gabbia e ci si accanisce contro le sbarre. L’isolamento è vivere con senso di privazione, di mancanza.
In questi giorni mi sto impegnando a vivere ciò che sta accadendo come uno stato di ‘solitudine’ e non di isolamento: ascolto molta musica, soprattutto alla radio, lavoro da casa, guardo molti video, leggo le notizie dai giornali francesi e spagnoli e….dormo e mangio!
L’unico aspetto che non vivo bene è quello della mancanza di contatto fisico. Credo che dovremmo ripensare a ciò che è basilare per la vita: cibo, sonno, acqua sono indispensabili alla salute e sinceramente credo lo sia alla stessa stregua anche il contatto umano, che in questi gg a chi – come me – vive da solo, viene negato.