la comunicazione empatica parte dal comunicare empaticamente con….noi!
la comunicazione come strumento verso se stessi
per molti anni ho creduto che la comunicazione fosse una competenza importante per relazionarsi con gli altri, quindi la vedevo rivolta all’esterno rispetto a me. ora, dopo anni di studi e di lavoro appassionato, sono giunta a questa mia considerazione: la comunicazione è una competenza chiave per relazionarsi agli altri se e solo se la applichiamo prima di tutto nel nostro colloquio interiore!
io ormai lo do per assodato e credo non lo sia: i nostri pensieri sono fatti di parole (anche di immagini, suoni…) e sono i nostri pensieri che determinano di conseguenza le nostre scelte quotidiane, le decisioni che prendiamo e anche le emozioni che proviamo. ecco che i principi di linguistica, comunicazione efficace, coaching…ci possono essere utili per lavorare sul nostro linguaggio ancora prima di formularlo verso l’esterno!
la comunicazione empatica
studiando coaching, mi ha molto aiutata comprendere i principi della comunicazione nonviolenta di marshall rosenberg e metterli in pratica! il suo testo ‘le parole sono finestre [oppure muri]’ mi ha permesso di spalancare una grandissima porta verso un mondo che allora non conoscevo e che tuttora sto studiando.
(io preferisco chiamarla ‘comunicazione empatica’ piuttosto che ‘nonviolenta’ perchè trovo che la parola ‘empatica’ sia focalizzata a definire che cosa sia questo tipo di comunicazione…e non ciò che non sia)
amo la comunicazione empatica per differenti ragioni! la prima cosa che mi ha affascinata e conquistata è che la trattazione è scritta in modalità scientifica. tutto lo studio, teorico e pratico, scaturisce a partire da due postulati base fondamentali:
- i ‘bisogni’ sono universali e comuni a tutti gli uomini nel mondo
- ognuno di noi pensa e agisce per soddisfare al massimo i propri ‘bisogni’
una parentesi sulla parola ‘bisogno’
quando si cita la parola ‘bisogno’ e si dice ‘soddisfare i propri bisogni’, alcune persone accolgono il messaggio con un senso negativo, egoistico, forse perchè in altri percorsi la parola ‘bisogno’ significa altro. ecco che lo studio della comunicazione empatica ci aiuta anche in questo: ricostruire un vocabolario di parole e di significati che spesso sono andati persi negli anni della nostra crescita! per comprendere al meglio che cosa siano i ‘bisogni’ universali nell’accezione della comunicazione empatica di rosenberg, credo che si possa ottenere un risultato immediato citandone alcuni: armonia, creatività, aurorealizzazione, divertimento, fiducia, amore, comprensione, giustizia, bellezza!
è possibile che ci siano altri termini per definire i ‘bisogni’…diciamo che sono intimamente legati a quello che vogliamo autenticamente, a ciò che ci fa sentire vivi e che ci anima! se volete proporre alternative alla parola ‘bisogno’, vi ascolto volentieri!
riconoscere i ‘bisogni’
con queste premesse, la comunicazione empatica si fonda sul riconoscimento dei propri bisogni e sulla possibilità di individuare e ascoltare i bisogni degli altri: i bisogni, in quanto universali, sono la base su cui è possibile costruire una comunicazione e una relazione efficace; sono le lettere di un linguaggio, il passepartout, il fil rouge, la chiave universale per comprendere sè e gli altri.
il primo passo che rosenberg ci invita a fare è dunque quello di ascoltare e riconoscere in noi quali siano i bisogni che ci animano, durante la giornata, al lavoro, in famiglia, con gli amici! riconoscendo (e quindi dando un nome!) i nostri bisogni, è possibile comunicare con noi stessi in modo empatico. ci è anche possibile di conseguenza agire per soddisfare il nostro bisogno, trovando la miglior ‘strategia’ per noi in quella determinata situazione. rosenberg parla di ‘linguaggio giraffa’ (empatico) e di ‘linguaggio sciacallo’ (non empatico).
ad esempio, se vedo due persone che stanno parlando per strada a voce alta, in genere io sento il mio bisogno di armonia, serenità, bellezza e quindi decido di allontanarmi, di deviare percorso sul marciapiede ecc ecc e magari poi mi soffermo a guardare la facciata di un bel palazzo!
se queste due persone alzassero i toni e cominciassero a malmenarsi, in me si accenderebbe vivo e prevalente il bisogno di giustizia, equità, rispetto e quindi credo che richiamerei l’attenzione di altre persone per mettere fine al litigio e chiamerei la polizia.
ecco che questi due semplici esempi possono spiegare in che cosa consista riconoscere i propri bisogni e trovare una strategia (cambiare strada, chiamare la polizia…) adeguata per soddisfarli.
lo step successivo consiste nel riconoscere, ascoltare e indagare i bisogni dell’altro e cioè delle persone con cui mi relaziono, prima di tutto al fine di ricevere i messaggi che mi arrivano dall’altro e poi anche, se lo voglio, di trovare e proporre una strategia comune che possibilmente soddisfi, almeno in parte, i bisogni miei e dell’altro.
un po di me
moltissime sono le considerazioni e le riflessioni che la comunicazione empatica ci offre per agire nel mondo prima di tutto in empatia con se stessi e poi in empatia con gli altri. io credo che la studierò e praticherò all’infinito, così come il coaching!
qui ho semplicemente raccolto alcune delle considerazioni che mi fa piacere condividere, sperando che suscitino la stessa curiosità che mi ha mossa a suo tempo nel leggere rosenberg.
nel mio osservarmi, so che spesso (forse sempre) è vivo in me il ‘bisogno’ di gioco e divertimento! oggi sono mossa anche dal ‘bisogno’ di comprensione, condivisione, considerazione….così ho adottato questa strategia: scrivere in minuscolo e con foto ironiche qualche concetto sulla comunicazione empatica qui sul blog!