ebbene sì, sabato il dalai lama mi ha parlato, mentre mi trovavo a rho insieme ad altri circa 13mila esseri umani. è stata un’esperienza unica e toccante che mi ha fatta riflettere su tantissime cose, nuove e non. in modo particolare, vederlo e sentirlo dal vivo, mi ha dato un’ulteriore prova del fatto che lui sia a tutti gli effetti un leader e passo a passo vi dirò perché lo è secondo me.
prima voglio condividere un’altra faccenda: vi ricordate bersani (samuele, il cantante) quando cantava di mollare tutto e seguire un corso di campana tibetana? ecco, aveva le sue valide ragioni: in uno stand ho suonato 3 diverse campane tibetane – ah, non sono a forma di campana come ho sempre creduto, ma sono a tutti gli effetti ciotole metalliche con un pestello, più o meno grandi – ho seguito esattamente i movimenti del venditore che stava dimostrando e sono riuscita solo a tirarne fuori tre ‘gong’ e nessuna armoniosa melodia. per cui confermo: è necessario un corso o almeno un tutorial.
passiamo oltre. come mai secondo me il dalai lama è un vero leader. prima di tutto perché segue la prima regola della leadership che anche julio il grande (velasco) individua come fondamentale: essere se stessi. ebbene sì: il dalai lama sarà famoso, importante, riconosciuto quanto vuoi e intanto parla allo stesso modo a richard (gere) come al sindaco di rho – con tutto il rispetto – come al suo traduttore, come a 13mila sconosciuti. si mostra totalmente vulnerabile: quando ha caldo, si mette in testa un fazzoletto bagnato, sortendo un effetto estetico piuttosto comico, si fa aiutare per spostarsi, perché è anziano, si avvicina al sindaco di rho un po’ teso per la situazione e gli dice di rilassarsi e di ridere. non ha necessità di mostrarsi un vincente perché non lo è affatto. è relegato a vivere in india, ha perso tutte le sue proprietà, il suo popolo combatte contro la dittatura, arriva in occidente e viene accolto calorosamente mentre già si deve dare prontamente notizia alla cina che noi lo si ospita solo come personaggio culturale perché non scoppino casini…e lui ringrazia. ringrazia tutti allo stesso modo, richard, il sindaco di rho, me, i 13mila…e ci dice anche ‘sedetevi’ mentre siamo in piedi ad applaudirlo. insomma è tutto fuorché un personaggio da palcoscenico. se non fosse che sai che è il dalai lama, ti parrebbe un anziano della famiglia. per inciso: porta le scarpe che mio nonno indossava a suo tempo, quindi nella preistoria (guarda la foto se non ci credi!). quindi è se stesso e pertanto si mostra vulnerabile. fa delle sue esperienze di vita, soprattutto di quelle tragiche, un tesoro da cui attingere per parlare a tutti. così, sentirlo argomentare di rifugiati cominciando con ‘io sono un rifugiato…’ fa sì che lo ascolti con maggiore attenzione e curiosità.
una seconda eccezionale qualità, che avevo apprezzato già leggendo i suoi libri, è che parla di concetti straordinariamente semplici e al tempo stesso molto profondi e lo fa anche usando parole semplici. mi riferisco a quando si rivolge ad una platea per parlare di temi universali; quando parla degli insegnamenti buddisti, ok…devi avere le competenze necessarie per capirlo. non dice cose altisonanti o impossibili da concepire. e nelle sue parole, ci sono tantissimi concetti di coaching! ad esempio parla dell’umanità come famiglia e subito passa a sottolineare l’importanza dell’individuo e delle sue azioni quotidiane (la responsabilità, le decisioni, l’azione…è coaching). parlando dei problemi che affliggono la società, dice che non crede affatto che saranno i governi o gli stati a risolverli. se i problemi saranno risolti, secondo lui sarà per l’intraprendenza di ogni singolo individuo e non si immagina chissà quali azioni epiche ognuno dovrà mettere in atto. semplicemente parla di compassione, di aiuto reciproco, di coltivare emozioni e pensieri buoni in luogo di rabbia e odio. nel quotidiano. semplice, chiaro, lineare. questo gli permette di parlare a tutti e di essere percepito da ognuno dei 13mila. non parla ai buddisti e non parla di concetti religiosi. parla di come potremmo vivere e comportarci. lo dice richard stesso mentre lo presenta ‘con lui, ci sentiamo tutti fratelli, indipendentemente dalla religione e dalla nazionalità’. concordo con richard: il suo messaggio mi è arrivato come se stessimo parlando io e lui.
tornando al coaching, ad un certo punto il suo discorso mi ha illuminata: ha parlato del perdono come di un’azione! questo è puro coaching! lui considera che il perdono non sia un atto intellettuale, anzi. il perdono-azione secondo lui è agire per evitare di subire un torto o una violenza e fare questo allontanando da noi emozioni negative quali il risentimento, l’uso della violenza a nostra volta, l’odio. il perdono è un’azione. eccezionale nuovo punto di vista.
certo che ha parlato anche dei vegani; fra le domande ce n’è stata una anche su quello. poteva mancare?