L’Iceberg
Ogni storia extra-ordinaria comincia da un evento esterno, un imprevisto, qualcosa di inaspettato che si è presentato alla porta e a cui abbiamo dovuto far fronte. Per te che cosa è stato?
Nel 2018, dopo la fine di una relazione affettiva importante, si sono moltiplicate quelle difficoltà che mi hanno da sempre accompagnato, e a cui ho sempre cercato risposta e soluzione, invano.
Pensiero anomalo non riconosciuto dagli altri, difficoltà sociali, comunicazione ridotta o/e inadatta, comportamento bizzarro ma stereotipato, interessi ridotti, ritmo esistenziale ossessivo, una vita psichica piena ma vuota allo stesso tempo, profonda introspezione ma un emotività Ignota. Una intensa incapacità a vivere senza un supporto, un rapporto o una guida. E allo stesso tempo un bisogno di grande solitudine.
A febbraio dello stesso anno, mia madre mi confida che mio padre potrebbe essere Asperger, osservandolo da molti anni. Questa notizia, mi ha fatto interessare all’argomento. Nel luglio dello stesso anno, Ho ricevuto la diagnosi dalla psicoterapeuta, appurando la mia appartenenza nello spettro Autistico, nel fenotipo Asperger.
Come ti sei sentito in quel momento? Che pensieri hai avuto?
Il mio lavoro in ambito psichiatrico, mi ha sempre suggerito di essere responsabile del proprio funzionamento e dei meccanismi di sofferenza che ognuno di noi porta.
Da una parte, aver iniziato a capire come funziono (perché la diagnosi è solo un primo passo di un lungo percorso) ha risolto le tante paure che da sempre mi portavo dietro. Un tumore al cervello, la sensazione di essere un alieno, Una maledizione invisibile… Fortunatamente, niente di tutto questo, nessuna malattia. Dall’altro lato, la consapevolezza di dover prendermi più cura di me, facendo attenzione al mio stile di vita, alle persone che frequentavo, al lavoro, ai miei comportamenti bizzarri, all’iperattività mentale che da sempre mi tiene sveglio di notte e può portarmi a fare scelte e pensieri avventati.
E poi che cosa hai fatto? Su quali tue risorse hai fatto leva?
La vita che ho fatto, che ho cercato di fare, non era più sostenibile. Ho incominciato a togliere tutti i fattori e gli ambienti che potevano non essere adatti o portarmi malessere. Ma paradossalmente, ho scelto spesso condotte autodistruttive e degradanti.
Iniziare a volermi bene e prendere le distanze dalla maggior parte Delle persone che facevano parte della mia ora, ma che non erano affatto propositive nei miei confronti, È valso un anno di intenso lavoro e progettazione con la mia psicoterapeuta. È significato cambiare lavoro ( lasciando un contratto a tempo indeterminato), chiudere i rapporti con una parte della mia famiglia, non avere quelle che si chiamano amicizie, non potersi fidare di nessuno essendo facilmente manipolabile, lasciare la casa e tutto quello che ha riguardato una vita fatta di grande sofferenza, per me e per le persone con cui ho vissuto.
Ad oggi, Luglio 2019, a un anno dalla diagnosi di Autismo, ho un nuovo lavoro come Assistente Domiciliare sulle ventiquattro ore presso una signora anziana, ho un ritmo di vita più sostenibile basato sulle mie caratteristiche e competenze. Posso pensare di vivere non solo per funzionare bene, a soprattutto nel cercare di essere felice, appagato.
E le altre persone (famiglia, amici, colleghi…) ti sono state di supporto?
I miei genitori hanno fatto un lungo percorso parallelo al mio, Per capire e rielaborare la propria esperienza di allevare un figlio autistico, senza saperlo. Hanno sempre fatto il possibile per me, e anche nell’ora più buia non si sono tirati indietro. La mia Psicoterapeuta mi è stata alleata dall’inizio fino ad oggi, ed è grazie a lei se si è potuto identificare il mio funzionamento e lavorare sulle molte comorbidità che mi porto dietro, conseguenze del mimetismo messo in atto per sopravvivere e della sofferenza agita e vissuta per non poter essere compreso
Le altre persone che hanno fatto parte della mia vita non hanno avuto gli strumenti e la possibilità di comprendere. A 32 anni, raramente i rapporti possono reggere alle ondate di Dolore e alla voglia di stare bene.
Quali pensieri sono cambiati in te? Che cosa ti dicevi nei momenti di sconforto?
Ho cominciato a credere nella mia persona, e valutare un mia personalità profondamente disturbata dall’interazione con l’esterno come una conseguenza e non un destino. “Non sono inamabile” “Questa è solo una fase” “Ciò che penso non dice come sto” “Ho diritto a stare male, ma non voglio che la mia vita sia solo questo”
Ho compreso che potevo ancora vivere, non ero da buttare.
Ma il percorso di vita che poteva portarmi a essere in accordo con il mio Piacere non poteva assomigliare a quello degli altri. E ho rispettato le mie scelte bizzarre, che mi hanno portato velocemente a una esistenza migliore di qualsiasi altra vissuta.
Se dovessi trovare una parola ‘simbolo’ per descrivere la tua storia, quale sarebbe?
L’iceberg. La cecità emotiva (cioè non vedere cosa stai provando e spesso non capire cosa accade all’esterno) è una condizione che ti ghiaccia quasi del tutto. Ma il ghiaccio preserva qualcosa di vivo, qualcosa che naviga nel tuo mare. È quando arriva nel mare caldo, il disgelo restituisce qualcosa.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Dopo questo lavoro sul “fine vita” e di accompagnamento alla sorte/morte. Intendo tornare ad avere una casa, e provare a investire sempre più nel piacere. Sono fatto per Amare, e quando amo è vita degna d’essere vissuta.
Nel frattempo continuerò a investire nella scrittura sulla mia pagina PoEpica “FreiRienD”, la mia passione più grande dopo l’Amore e il Dolore.
Che cosa pensi della respons-abilità, della resilienza e delle opinioni funzionali e limitanti, che nel mio lavoro da coach sono concetti chiave per ogni fase di cambiamento?
La respons-abilità arriva, nel mio caso quando conosci il tuo funzionamento, è una capacità. Non puoi più chiamarti fuori da te.
La resilienza l’ho sempre confusa con la sopportazione e l’abnegazione.
Ma Non ci si può portare solo a casa vivi, bisogna arrivarci arricchiti dal viaggio, occorre imparare per far sì che il ritorno preveda una partenza.
Non giudicarsi è solo una parte del lavoro, crearsi opinioni funzionali che permettano di sopravvivere ed elaborare pensieri interessanti e aperti è la parte più difficile, per me. Molte opinioni che mi sono creato e mi creo mi limitano molto.
Ed è grazie anche al confronto con la terapeuta e con le poche persone di cui mi posso o riesco a fidarmi che sto incominciando ad essermi di vantaggio e non più di ostacolo., occorre imparare per far sì che il ritorno preveda una partenza.
Non giudicarsi è solo una parte del lavoro, crearsi opinioni funzionali che permettano di sopravvivere ed elaborare pensieri interessanti e aperti è la parte più difficile, per me. Molte opinioni che mi sono creato e mi creo mi limitano molto.
Ed è grazie anche al confronto con la terapeuta e con le poche persone di cui mi posso o riesco a fidarmi che sto incominciando ad essermi di vantaggio e non più di ostacolo.