UN PERCORSO INTERIORE GRAZIE ALLA TECNICA DI RIPARARE CON L’ORO
il 27 ottobre ho partecipato ad un laboratorio di kintsugi tenuto dalla bravissima e solare Chiara Lorenzetti. i casi della vita hanno voluto che io la conoscessi un annetto fa sul web, per poi scoprire solo dopo che abita e lavora come restauratrice a poche centinaia di metri da casa dei miei genitori, dove anche io ho vissuto fino a 18 anni! due anime biellesi che si incontrano sul web grazie ad una tecnica giapponese! mi piacciono sempre molto gli scherzi che la sincronicità ci tende.
Chiara, restauratrice, da anni è appassionata e pratica il kintsugi, creando magnifici oggetti – io le chiamo ‘creature’ – utilizzando appunto questa tecnica giapponese che permette di ‘riparare con l’oro’.
la metafora dell’arricchire le ferite, di mostrarle all’esterno come cosa preziosa, mi incuriosiva da tempo perché, anche grazie al coaching, il mio lavoro personale è stato quello di cambiare punto di vista sulle situazioni che ho vissuto come negative per trovare anche ciò che di positivo e di prezioso ne è nato e poterlo finalmente ammirare e coltivare!
spesso il mio lavoro con i coachee è analogo, perché parte da situazioni ‘difficili’ (ho perso il lavoro, mi sto separando, sono confuso su come proseguire la mia vita…) e si conclude con la nascita di qualcosa di nuovo, un nuovo progetto, una decisione, un cambiamento! è come se le persone arrivassero sentendo che la loro vita è fatta ora di ‘cocci rotti’ e ne uscissero con un nuovo vaso costruito da loro proprio a partire da quei cocci!
è con questo spirito, curioso delle analogie tra ciò che avrei fatto e ciò che avrei provato, che sono andata al laboratorio!
L’ORGANIZZAZIONE: prima di tutto i miei complimenti a Chiara per aver trovato una formula ‘semplificata e potente’, in cui ognuno riesce a sperimentare in poco tempo la tecnica del kintsugi e il suo significato, in modo semplice, diretto e comunque elegante e significativo! e bellissimi secondo me gli elementi ‘teorici’ sul teatro, l’ikebana, la bibliografia. splendida la cornice de l’Atelier des Pampilles luogo che pare un salotto di casa, curato, con teiere, piattini, caraffe che risvegliano i ricordi!
CHE COSA HO VISSUTO IO, NEL MENTRE: il primo passo consiste nello spaccare con un martello la ciotola su cui si lavorerà! devo dire che mi dispiaceva quasi, visto che la ciotola era molto elegante! intanto guardavo le altre persone: chi talmente delicata da non scalfire nemmeno l’oggetto, chi talmente irruente nel colpo che la tazza si rompeva in moltissimi pezzi e tante briciole! anche questo osservare mi ha dato idea di come ognuno di noi si rapporti con lo ‘spezzare’ qualcosa di intatto: forza, strategia, delicatezza…ci ho visto un parallelismo su come viviamo i conflitti: ognuno ha modalità proprie!
io mi sono illuminata nel momento in cui Chiara ha detto: ‘se una persona si concentra, è possibile che la rottura venga così come la vuole!’. niente di meglio per un coach: un invito a nozze! così mi sono focalizzata sul mio rapporto col mondo, da molti anni ricucito a più riprese e….la rottura della mia ciotola è risultata netta, divisa in tre, con due parti grandi e una più piccola – che ho subito identificato con me!
per lanciarmi in esperimenti e anche seguendo un istinto del momento, ho deciso di regalare il pezzetto piccolo (io) per introdurne uno diverso; in effetti, il leit motiv della mia vita – detto in modo moooooolto semplificato – è che io vivo e penso da sempre in modo non convenzionale rispetto alla maggioranza delle persone…ecco forse perché mi piaceva molto l’idea di mettere una ‘me’ differente!
tecnicamente questa ‘commistione’ con altri pezzi di ceramica se ho ben compreso si chiama ‘yobitsugi’.
ho donato il mio pezzetto ad un’altra cara partecipante, con cui poi ho chiacchierato con piacere, che pur di inserirlo nel suo lavoro l’ha lavorato lungamente con le tenaglie….più volte le è stato suggerito di desistere e nulla!!! la guardavo all’opera e mi pareva esattamente quello che io avevo fatto a me per almeno i primi 30 anni di vita e che, per fortuna, io non sono riuscita a portare a termine: ‘martoriarmi’ pur di inserirmi in una specie di ‘normalità sociale’ che prevede che fino a 25 anni studi, entro i 28 trovi un buon lavoro, entro i 30 ti sposi, entro i 32 fai il primo figlio, entro i 35 il secondo…….a tratti ho avuto l’impulso di pretendere la restituzione della piccola me ceramica!
ora sono molto contenta che alla fine il mio pezzo sia entrato a fare parte di un’altra ‘creatura’ e di un’altra storia nella quale ‘sta bene’ e sono certa che ricopra un significato diverso!
CHE COSA HO ELABORATO A CASA: insomma, mentre ero lì ho goduto dell’esperienza, poi a casa mi sono nate riflessioni interessantissime, alcune anche su come la colla d’oro abbia ‘riparato’ più o meno rispetto agli altri pezzi e su quanta colla d’oro io abbia messo e lavorato verso una parte e verso l’altra!
io, dopo millemila ricerche di un pezzo piccolo che come forma e dimensioni potesse ‘starci’ (anche qui, pensandoci poi a casa, analogo a tutta la mia lunga ricerca personale per rimanere me stessa e rimanere anche inserita nella società), ho trovato infine un pezzo di ceramica, bianco e blu, che mi piace molto. sul subito ho notato che rappresentava un castello con due torri, forti, arroccate. poi, a casa, ho visto anche che sulla torre era issata la bandiera bianca!
molto curioso che solo a casa io mi sia focalizzata sulla bandiera bianca! mi capita spesso con le immagini che ritaglio o che salvo sul cellulare e che rivedo in altra luce dopo giorni!
ISSARE BANDIERA BIANCA: la bandiera bianca a me ricorda sia la resa, sia la fine del conflitto; in fin dei conti per me è proprio come un mettere fine alla guerra, dichiararsi disarmata e andare incontro al nemico fidandosi di non essere colpita a morte! issare bandiera bianca è il modo per rimanere tutti vivi e finire di sparare e di farsi sparare! così è stato nella mia ‘battaglia’ tra la me stessa più autentica e la dimensione sociale: io mi sono mostrata stanca della guerra anni fa e così sono potuta passare ad un’altra dimensione rispetto alla guerra, che ora non è più basata su colpa e ragione e che non è solo una mera non belligeranza. è un accordo!
IL COACHING: questa esperienza col kintsugi secondo me è simbolica di tutto ciò che viviamo quando un rapporto con una o più persone ‘si rompe’. a volte è la nostra stessa vita che ci pare sia ‘caduta a terra e rotta in pezzi’. ecco che metaforicamente il kintsugi credo possa supportare nel ‘rimettere insieme’ i pezzi e creare una nuova ‘forma’ (di noi o del rapporto che si è rotto) che non potrà essere identica a prima! potrà addirittura arricchirsi e le ‘ferite’ resteranno, impreziosite. i concetti di coaching quali fiducia, autostima, ri-sentimento, cambiamento, vulnerabilità, resilienza….sono tutti a mio parere in armonia con quello che ho sperimentato.
infiniti apprendimenti per me! gli oggetti alla fine sono una ‘modalità’ di espressione e poi anche di riflessione!
ho riportato alcune di queste riflessioni a Chiara qualche giorno dopo il laboratorio. mi ha risposto con parole gentili ed emozionanti:
“Mi sento fortunata a poter ascoltare cosa è passato tra le tue mani, il cuore, la mente in 4 ore di corso, un viaggio che forse anche altre hanno fatto, ognuno con la sua storia, vicine e lontane: è bellissimo!”